All'Ortobene, a distanza di 40 anni

Dal 1901, regolarmente, anno per anno e, particolarmente nei mesi estivi, il Redentore è continua meta di turisti e di visitatori.
Abbiamo riportato dettagliatamente gli avvenimenti del lontano 1901: vogliamo oggi dare uno sguardo all’anno 1941, cioè quarantanni esatti dallo storico avvenimento.

«Le genti di Sardegna — scriveva Antonio Mereu nel ’41 —, per il periodico «L’Ortòbene», nei loro mirabili costumi e negli affetti più fraterni, hanno pellegrinato al Monte Ortobene per pregare ai piedi della maestosa statua di Cristo Redentore, che Vincenzo Jerace ha scolpito con precisi lineamenti.

Hanno pellegrinato con delicato e consapevole sentimento, dando a questo quarantennio una tonalità di vita religiosa e casta, di vita perfettamente sarda.
Noi eravamo con esse, confusi tra quelle variopinte folle, uniti nella preghiera, nella letizia cristiana. Con esse abbiamo gioito, purificato nella visione sublime dell’umana redenzione.
Il sacro Monte quel giorno ha pulsato come non mai di vita, dei canti vividi della fede e della bontà, degli accenti commoventi di vera cordialità sarda.
Attorno al Monumento, dinanzi all’Altare, è stato un susseguirsi di folle, un innalzar preci e canti, ringraziamenti e promesse: espressioni modulate nella armonia della fiera e incisiva lingua di Sardegna.
Atti inebriati dalla bellezza della natura; esplosioni di ammirazione per l’incanto affascinatore del luogo, dove l’occhio si diletta di gustare la varietà del paesaggio e l’asprezza di quest’Isola nostra, sono stati parti integranti della solennità del giorno».

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«Oggi rievochiamo il quarantennio dell’erezione di quel Monumento in un’ora tragica per il mondo.
Ma anche in un periodo in cui la Sardegna è disorientata, perché è voluta andare incontro ad una falsa luce, ostinatamente abbandonando le sue ataviche consuetudini. Credeva così di accogliere nel suo grembo la civiltà: meschine manifestazioni di presunti rinnovatori la hanno avvolta in una catarsi penosa, ne hanno quasi schiantato la sua dirittura di vita.
La constatazione ci fa trarre parecchi insegnamenti, basandoli sui dettami che il Cristo Redentore ha sottoposto, con la parola e con l’esempio, alla turbe, per le debite valutazioni.
Sopratutto peregrinando al Monte Ortobene, dovremmo saper valutare il nostro passato, non obliato ma ancora vivo nei nostri padri, nei nostri fratelli maggiori.
Dobbiamo ricordarci che siamo i continuatori di una storia non ingloriosa, gli eredi diretti di un popolo che seppe, onoratamente, crearsi un posto non trascurabile nella vita nazionale, per le sue doti di mente e di cuore, per le sue non comuni capacità costruttrici, artistiche, letterarie».

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«Le donne di Sardegna, come pure gli uomini, prima di lasciare la contrada hanno anche meditato sulla vita di Colei che inspirò all’Artista l’opera eccelsa.
Dinanzi alla di Lei figura hanno sentito quanto grande fu l’impulso che Luisa Jerace diede all’artefice per la piena attuazione del progetto.
Essa è rivissuta nella memoria di tutti, nella rievocazione di coloro che le furono contemporanei: accanto alla sua lapide, alla sua effigie di donna virtuosa e virile, le donne nostre hanno attinto forza e generosità per continuare la missione che a loro spetta in questa vita terrena.
Attestazione dell’affetto sono stati i tributi di fiori e di verdi frasche che quelle hanno deposto ai piedi del ricordo marmoreo.
Fiori agresti e frasche argentate di quercie e di elei, raccolte nelle serre dell’Ortobene.
Hanno detto, questi tributi barbaricini, che la Sardegna ama e ancora ricorda Luisa Jerace.
Donna eletta, come elette sono le donne di Sardegna, che hanno nel cuore la fede che eleva e tempra alla conquista del domani; che hanno il profumo della purezza di intenti; e della vita conoscono tutte le pene, gli affanni».

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