il tesoro di mamudine

Vecchie leggende Nuoresi

Dai tempi antichi, e sino alla prima metà del secolo scorso, per i nuoresi il Monte Ortobene è stato uno scrigno colmo di fatti e personaggi leggendari. Un insieme di fantasie di origine arcana, capaci di suscitare un misto di desiderio e terrore. Ed ecco “Su contu ‘e su tesoro ‘e Mamudine”. Nascosto in una grotta impossibile da trovare!

Un contadino di Marreri, per alleviare le sue fatiche, decise di comprare un carro con due buoi. Il carro lo avrebbe potuto aiutare nel trasporto del materiale necessario per il lavoro, un buon investimento per un padre di famiglia. Il giorno stesso dell’acquisto chiamò un suo vecchio amico fabbro e gli chiese di ferrargli le ruote. L’amico non esitò e dopo un paio di ore di lavoro le ruote del carro furono ferrate.

Il contadino, stanco della lunga giornata di lavoro, tornò a casa e salutata la famiglia si sdraiò e si mise a dormire.

La notte fu tortuosa, l’uomo dormì sveglio, inseguito da strani incubi che lo attanagliavano senza dargli tregua, strani rumori echeggiavano nella sua testa, il tempo passava veloce e ben presto il sole venne a bussare alla sua finestra. Era mattina e gli aspettava una lunga giornata di lavoro. Ancora stanco per la strana nottata, un sorriso riempì il suo viso; pensava al carro, che finalmente lo avrebbe potuto aiutare nel lavoro.

Uscito di casa si accorse però che era accaduto qualcosa. Strane sagome decoravano la terra del cortile, il cancello era aperto e il carro coi buoi era sparito.

I contadini dell’allora piccolo paese di Nuoro si unirono per aiutarlo nelle ricerche; il carro doveva essere trovato.

Non sapendo quanto tempo sarebbero rimasti fuori casa per l’indagine, ognuno riempì la propria bisaccia di provviste: pane, formaggio, lardo e acqua.

Le ricerche cominciarono dalla chiesetta della Solitudine, le tracce del carro appena ferrato erano ben visibili e salivano sul Monte Ortobene. I contadini seguirono le orme in mezzo alla boscaglia, tra le vecchie vie dei pastori e dei carbonai, giungendo infine nei pressi de “Sa Conca ‘e Mamudine”. Qui le tracce si interrompevano e i solchi lasciati dal carro si scompigliavano in una strana danza senza però proseguire in altre direzioni. Il luogo era astruso, gli alberi si interrompevano lasciando spazio ad un’area senza piante, delimitata da arbusti. Camminando tra la terra e le erbacce si sentivano strani rumori provenire dal sottosuolo come se al di sotto ci fosse qualcosa, il vuoto.

Le persone presenti iniziarono a cercare, doveva essere lì per forza, ma del carro non c’era traccia.

– “Lo hanno nascosto” disse qualcuno

– “Bisogna cercare tra le rocce” disse qualcun altro

Ma le orme si fermavano lì, in quello spiazzo di terra malmesso, senza alberi.

Uno dei più giovani si chinò e cominciò a controllare tra i cespugli e ad un certo punto trovò qualcosa. Un passaggio molto stretto tra le fronde dei rami degli arbusti.

–  “Qui c’è un passaggio!” gridò.

Immediatamente il contadino si avvicinò ma notando la piccola apertura disse:

– “Il mio carro è grande non può essere passato di qua”

Il ragazzo allora continuò a spostare le foglie e i rami, tirandoli e rompendoli, e il passaggio si faceva via via più grande.

– “E adesso?” domandò il giovane con aria di sfida.

L’uomo rimase in silenzio, poi disse:

– “Adesso sì, con una piccola spinta il carro potrebbe essere passato. Vado a controllare, voi rimanete qui”.

Si avvicinò con cautela ed entrò nell’angusto passaggio. All’interno l’ambiente era molto grande, gli sembrava di stare in una piazza. Percorse la strada, superò due gradini e camminando camminando si trovò davanti una Gallina con i pulcini d’oro che brillavano come il sole; del carro però non c’era traccia. Continuando la ricerca, il contadino si trovò d’un tratto difronte ad un mucchio di marenghi d’oro, tantissime monete ed altri oggetti preziosi.

Ben presto si dimenticò del carro e pensò di portarsi via un po’ di quell’immensa ricchezza. Prese di fretta la bisaccia, la svuotò del cibo e la riempì di monete d’oro.

Il peso era tantissimo, dovette inginocchiarsi per raccogliere la bisaccia e una volta in spalla fu così pesante da non riuscire a muoversi.

Arrivato con fatica al secondo gradino si accorse che qualcosa tirava le maniglie della bisaccia e voltatosi vide due cani enormi con gli occhi rossi che lo trattenevano. Erano i mastini di un antico Re, caduto in malora, che custodiva un immenso cumulo di marenghi d’oro; un tesoro (“ascusorjos”) maledetto dal diavolo.

I cani ringhiarono e tirarono fino a quando l’uomo non mollò la presa, lasciando cadere la bisaccia con le ricchezze che voleva portare via.

Riuscì a scappare a stento e una volta fuori cercò di riprendere fiato mentre gli altri contadini domandavano cosa fosse accaduto. L’uomo era sconvolto e non riusciva a parlare.

Fu riportato a casa e gli venne una febbre altissima. Rimase malato e nel delirio della malattia raccontò quello che aveva visto. I medici non sapevano cosa fare, provarono di tutto senza risultato e ben presto il contadino morì.

I giorni seguenti ci fu una processione verso il monte, verso “Mamudine”; tutti andarono a cercare il luogo senza mai trovarlo. Rapidamente la storia dell’accaduto passò di bocca in bocca ma nessuno riuscì mai a scoprire nulla. 

Si dice che il luogo esista ancora e che, calpestando con i piedi la terra, si senta il vuoto, “su bodiu”, rifugio del tesoro maledetto.

Ma è solo una leggenda…

Pare che la stessa sorte sia toccata a Bellone, bandito aspro e balente, che si rifugiava nell’omonima conca (“Sa Conca ‘e Bellone”) nei pressi di Mamudine.

Di lui si raccontava che un giorno trovò “s’intrada”, l’entrata per la grotta del tesoro. Quale ricchezza davanti ai suoi avidi occhi!  Cottas de oro, telajos de oro, marengos… e altro ancora. Ma c’era anche il mastino del re che lo assalì senza indugio. Scappò terrorizzato il bandito balente e tale fu lo spavento che morì, dopo una settimana di silenziosa e angosciante agonia, senza poter rivelare ad altri il misterioso passaggio. 

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