Necropoli Ipogeica di Maria Frunza
ORTHOBENESSERE
La necropoli di Maria Frunza, situata sul Monte Ortobene a Nuoro, è un complesso funerario preistorico composto da cinque domus de janas (una incompiuta) scavate direttamente nella roccia granitica. Questo sito archeologico si distingue non solo per le sue caratteristiche architettoniche, ma anche per il suo continuo riutilizzo nel corso dei secoli, che ne ha trasformato la funzione da luogo di sepoltura a rifugio e abitazione fino a epoche recenti.
La Necropoli di Maria Frunza e dove si trova
La necropoli è un esempio significativo di architettura funeraria ipogeica della Sardegna pre-nuragica. Per raggiungerla, è necessario percorrere la strada che dalla chiesa della Solitudine conduce verso Marreri. Dopo circa 4,5 km, si imbocca una stradina sterrata sulla sinistra. Il sito non è immediatamente visibile nella sua interezza: una delle tombe si trova sul bordo del sentiero, mentre le altre sono dislocate lungo il costone roccioso sovrastante, spesso celate da una fitta vegetazione.
Il complesso monumentale fu oggetto di uno studio specifico da parte della Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro, condotto in parallelo agli scavi della vicina tomba di Janna Bentosa. Durante le indagini, tuttavia, non furono rinvenuti reperti archeologici databili al periodo di originale utilizzo della necropoli.
La causa principale è stata identificata nel continuo riutilizzo degli ipogei in epoche successive. Le tombe, infatti, sono state sfruttate come abitazioni e rifugi, in particolare durante le due guerre mondiali, quando ospitarono famiglie di sfollati. Questa frequentazione ha inevitabilmente compromesso la stratigrafia originaria, portando alla dispersione del corredo funerario preistorico.
Analisi delle Domus de Janas (Sas Birghines)
La necropoli è composta da cinque tombe (quattro se non si considera quella incompiuta), ognuna con caratteristiche peculiari che riflettono le tecniche di scavo nel duro granito e i modelli architettonici tipici delle “case dei vivi” che si volevano replicare per l’aldilà.
Tomba I: La Domus sul Sentiero
La prima tomba che si incontra è anche la più accessibile, situata sul bordo sinistro del sentiero.
- Struttura: Si tratta di una domus bicellulare (composta da due vani) con un ingresso di luce trapezoidale orientato a Sud-Sud-Est. L’accesso è preceduto da un padiglione (o dromos) a pianta sub-rettangolare.
- Cella Principale: Il primo ambiente ha una pianta vagamente ellittica, pareti rettilinee e un soffitto spiovente verso l’ingresso.
- Seconda Cella: Sulla parete di fondo della prima cella si apre il portello che conduce al secondo vano. Questo accesso è impreziosito da una doppia cornice in rilievo. Tracce di colore rosso scuro (ocra) sono ancora visibili alla base del portello e tra le due cornici, un elemento rituale comune nelle domus de janas. La seconda cella è sub-rettangolare, con pareti rettilinee e soffitto piatto.
Tomba II: L’Ipogeo con Pilastro e Scalinata
- Accesso: L’ipogeo è preceduto da una scalinata di tre gradini alti e rotondeggianti, la cui contemporaneità con l’impianto originale è incerta. L’ingresso, rivolto a Sud-Ovest, è stato modificato durante la fase abitativa per renderlo più funzionale: l’apertura originaria, di circa 80×80 cm, è stata ampliata alle dimensioni attuali di 80 cm x 1,35 m. L’accesso dava su un padiglione oggi quasi completamente distrutto.
- Cella Principale: Il portello introduce al primo e più ampio vano, una stanza rettangolare di circa 5×3 metri. Al suo interno spicca un imponente pilastro rettangolare centrale, alto 1,74 m, lungo 60 cm e largo 30 cm, un elemento architettonico risparmiato nella roccia per replicare un sostegno tipico delle case dei vivi. Le pareti, sebbene erose, appaiono levigate e sulla sinistra si nota una piccola nicchia di tipo cultuale. La presenza di fuliggine su pareti e soffitto, dovuta al prolungato uso abitativo, impedisce di verificare eventuali tracce di ocra.
- Vani Secondari: Dalla cella principale si accede ad altri due vani. Sulla sinistra, un portello conduce a una stanza a pianta quasi circolare. Ritornando nel vano principale, un altro portello a destra dell’ingresso immette in una terza stanza di forma ellittica, il cui soffitto è parzialmente crollato.
- Ingresso: Orientato a Sud-Ovest, l’accesso è tecnicamente notevole. Presenta una profonda scanalatura per l’incasso del portello di chiusura in pietra e una cornice in rilievo che lo circonda.
- Cella Principale: Ha una forma ellittica con pareti rettilinee e levigate. Un dettaglio interessante è visibile sulla parete destra, dove si notano ancora le tracce lasciate dal piccone utilizzato per lo scavo.
- Vani Interni: Dalla parete di fondo si accede a una seconda cella, di forma quasi circolare e ben rifinita. Da questa, un ulteriore portello sulla parete destra conduce al terzo e ultimo vano, di forma ellittica.
Tomba IV: La Struttura Incompiuta
- Caratteristiche: Il vano principale si presenta come una grande nicchia priva di un vero e proprio soffitto, segno che i lavori di scavo furono interrotti.
- Ingresso: L’accesso è rettangolare e si trova al livello del piano di campagna. È ornato da una cornice quadrangolare in rilievo, che testimonia l’importanza che si intendeva dare al sepolcro.
Tomba V: La Domus Nascosta e Danneggiata
- Stato di Conservazione: La sua anticella è completamente crollata.
- Struttura Interna: Dal crollo si accede a una prima stanza di dimensioni notevoli. Questa è collegata a una cella più piccola che, a causa di un cedimento della roccia dovuto all’erosione, presenta un secondo ingresso verso l’esterno, in corrispondenza dell’area dell’anticella crollata.
Il Riutilizzo delle Tombe: Da Necropoli ad Abitazione
Uno degli aspetti più affascinanti della necropoli di Maria Frunza è il suo riutilizzo quasi continuativo in epoche successive, che ha trasformato la funzione sacra degli ipogei in un uso profano e pratico. Questa pratica trova la sua testimonianza più vivida e dettagliata nel caso della Tomba II (quella con il pilastro), che durante la prima metà degli anni Quaranta del Novecento fu trasformata in una vera e propria abitazione funzionale da Tziu Jubanne Fenu Farineddu.
Le memorie storiche, tramandate dal nipote Cosome Corda Massariddu, descrivono una meticolosa riorganizzazione degli spazi preistorici per adattarli alla vita quotidiana. L’ambiente principale fu arredato con elementi essenziali: un tavolo in pietra, un giaciglio di frasche delimitato da tronchi di leccio e una cannitta (incannucciata) sospesa, usata per cibo e utensili. Persino la cella secondaria più piccola fu resa funzionale grazie all’ingegno di ziu Bobore Farineddu, cugino dell’abitante, che vi costruì un rudimentale ma efficace caminetto con canna fumaria per riscaldare l’ambiente e cucinare. L’unica area non utilizzata era la camera più interna, rimasta buia e rifugio per i pipistrelli (turreddos).
Questa non era una semplice occupazione, ma il centro di un’economia di sussistenza legata al territorio del Monte Ortobene. La vita nella domus era scandita da un lavoro incessante, che includeva la produzione di carbone e la coltivazione di grano per il baratto. Questa memoria storica offre una testimonianza eccezionale di come un monumento preistorico sia stato pienamente integrato nel tessuto sociale e produttivo della comunità locale fino a tempi recentissimi, ben oltre il generico utilizzo durante la seconda guerra mondiale, dove diverse famiglie di sfollati trovarono rifugio all’interno di queste antiche strutture, o utilizzarono le stesse come magazzini e giacigli.
La Necropoli di Maria Frunza rappresenta un documento storico stratificato. Nata come luogo per il riposo eterno nella preistoria, ha saputo adattarsi alle necessità dei vivi nel corso dei millenni. La sua visita offre non solo una lezione di archeologia, ma anche una profonda riflessione sul rapporto tra l’uomo e il territorio.
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