Vita del Monte

Da uno scritto del 1941 dell’Avv. Antonio Monni

«Dico del Monte nostro, per quelli che lo amano senza interesse materiale, ma per la gioia dello spirito che è superiore ad ogni altro guadagno.
Quel che dico troverà forse eco nel pensiero di chi, percorrendo in Sardegna pianure o altipiani nudi e desolati, ha sentito e più sentirà la crucciosa nostalgia delle foreste scomparse e nei nuoresi, almeno in quelli che non pesano la bellezza dell’Ortobene a prezzo di carbone, questa nostalgia va diventando d’anno in anno più acuta.

Da alcuni anni non avevo rifatto visita all’Ortobene. Vi sono tornato domenica: «Quantum mutatus ab ilio!».
Già la strada denota, nei solchi polverosi, il traffico dei carri che recano giù le spoglie dell’assalto distruttore.
Poi appena superata la prima salita, la visione che avevo non è più quella che allietava l’occhio ed il cuore: si ha il senso che la montagna sia invecchiata per i malanni, che abbia perduto le vistose chiome, che si awii a morire. Appaiono e dominano il paesaggio le roccie sparse: si pensa ad un corpo umano consunto che, svanito l’ornamento della giovinezza e della salute, svela le ossa a fior di pelle.
Fino a Milianu e da Milianu a Solotti il Monte non ha più segreti da confidare; si può passare dovunque in piena luce chè gli alberelli salvati han tenui membra di fanciulli sofferenti.
Un tempo si andava saltando per la via tutta ombrosa e non si sudava.
Mi domanderete il perché di queste melanconie e se ancora vi è nel Monte tanta vigoria boschiva da assicurare che, lustro più lustro meno, riprenderà l’aspetto di foresta inviolata.
La risposta è semplice: è nel timore diffuso e triste che gli attentati (nota 14) non siano finiti, che la denudazione possa continuare, che i prezzi del carbone e della legna, salendo via via, lusinghino ancora ad abbattere le piante a centinaia. Spero che nessuno sia così distrattamente incosciente da obiettare che esigenze contingenti impongono una politica forestale diversa da quella provvida e sana contenuta nella legge attuale. Replicherei che ogni sforzo, ogni sacrificio tendono alla conquista del benessere, del meglio, e della ricchezza.
Il domani è il miraggio incantevole che affascina gli individui e la collettività. E sta bene.
Ma se lo sforzo è superiore alle capacità, se il sacrificio distrugge le fonti, non si vede come possa sognare il meglio di domani: Nuoro, nonostante isolati vandalismi, aveva caro questo suo Monte come un altare, lo amava come offerta votiva al Redentore che lo sorvola con ala mai stanca, lo rispettava come cosa sacra alla poesia: e così è ancora.
Ebbene, se l’esigenza distrugge, quale miracolo può ricreare, per il domani, la forza, la bellezza, la ricchezza, la poesia delTOrtobene?
Domenica scorsa ho visto a Solotti numerose comitive: operai, studenti, famiglie. Una gente che, in pace ed in guerra, è stata al lavoro e se ha una giornata libera va a trascorrerla al Monte.

È il Monte rifugio dispensiere di riposante delizia.
E non è il ristoro delle fresche acque, ma è il piacere di cibi consumati con apetito che fanno gradito il soggiorno al Monte: il godimento è dell’anima più che del corpo, il riposo non è delle membra ma dello spirito.
Chi ama la natura torna ad essa, dopo gli affanni quotidiani, con il cuore la stessa dolcezza del figliol prodigo all’abbraccio paterno dopo il vano peregrinare. Molti ormai hanno costruito sul Monte villette e locali in posizione amena e salubre: villeggiare al Monte è già desiderio diffuso e legittimo: le costruzioni si incrementeranno rapidamente.
E vi è a Solotti la Colonia Montana che fà trascorrere felicemente l’estate a centinaia di bambini poveri e bisognosi di cure climatiche.
Dunque l’Ortobene non è più soltanto un aggregato di «tanche» di Tizio o di Caio: la è il Monte di Nuoro che ha una sua vita nuova da difendere in rapporto alla vita nuova della città. Il rispetto, la protezione, la difesa del Monte costituiscono ormai un problema di carattere pubblico, una esigenza d’indole generale, un bisogno di tutta la popolazione.
Quindi deve esser ben chiaro per tutti che una eventuale ulteriore utilizzazione forestale dell’Ortobene è deprecabile, dannosa non soltanto per i proprietari ma per gli interessi della Città.

L’argomento, dai picchi dell’Ortobene, può spaziare su altri monti, su altre foreste insidiate, per altre note ed osservazioni: ma sarebbe vólo troppo vasto. Mi limiterò a dire — continua lo scritto di Monni —che tutta l’Isola, già verdeggiante di annosi boschi, risente gravemente del perpetuo diradamento forestale: l’occhio s’attrista davanti a la visione di infinite distese grigie e gialle, si pensa con dolore ai bisogni di domani se amministrazioni e privati non sapranno difendere patrimoni che la natura ha creato in cicli secolari e che l’opera di rimboschimento può sostituire in parte e lentamente.
Noi che vogliamo essere degni eredi di Roma, non possiamo dimenticare che i Romani consideravano il bosco, a seconda sacro, religioso, santo; non possiamo avere dimenticato che la forza migliore del popolo romano scaturiva dal tenace amore alla divina campagna».

(nota 14) La preoccupazione delTaw. Monni del 1941 ha trovato purtroppo piena conferma trentanni dopo — nel 1971 — a seguito dell’immane incendio del monte.

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